Il lusso non può e non deve essere fast”, questo ha dichiarato qualche giorno fa Re Giorgio, meglio conosciuto come lo stilista Giorgio Armani, in una lettera che ha fatto il giro del web in pochi minuti. Tutti lo citano e lo postano, considerandolo il faro del cambiamento che verrà. 

Se, con le sue donazioni e con la riconversione della produzione, aveva fatto parlare di sé, oggi con questa lettera ha creato una comunicazione basata sul buzz mktg nella rete, che non ha eguali per la sua awarness. Nonostante il periodo che stiamo vivendo, ancora una volta, Armani è l’esempio che essere sé stessi e raccontare il proprio credo, siano le armi comunicative più efficaci e vincenti; del resto, l’utente, oggi più che mai, attento e con molto tempo a disposizione, non è disincantato dinanzi ai brand. Ricordiamoci che parliamo di persone e non di entità!

Cos’ha detto Armani alla stampa per raccogliere così tanto consenso?

Oltre ad essere stato uno dei primi brand di alta moda a sfilare a porte chiuse e quindi a non aver paura di mettere le persone prima della sua visibilità, o meglio, a non temere di prendere delle decisioni, ha confessato il suo punto di vista sul futuro della “sua moda”, prima degli altri.

Armani nella sua lettera parla di rallentamenti, di un’élite, quella dell’alta moda, che non deve piegarsi ai ritmi del fast fashion. Considera la spettacolarizzazione della moda come perdita di questo tempo prezioso e come inutile procedura. Ritorna ai tempi del passato, quando le collezioni erano dimezzate. Sostiene che solo così, riappropriandoci del tempo, riusciremo davvero a vedere la vera moda. Nel suo discorso, mette al centro gli abiti, le sue creazioni! Niente di più vero, sperando che nella sua concezione del tempo, la moda non debba più essere fast, anche per altri motivi, forse i più importanti.

Qualche esempio:
– nociva per le persone che indossano i capi;
– strumento per sfruttare le persone con manodopera a basso costo, perciò il frutto del lavoro non etico;
– selezione di materiali scadenti, fine il guadagno;
– strumenti di inquinamento per il mondo;
– realizzazioni non prettamente “Made in Italy”, nonostante il prezzo e il titolo dichiarato;
– pretesto di guadagno ad ogni costo.

Mettere al centro gli abiti è un bel modo per ripartire e dare speranza. Mettere al centro le persone sarebbe più opportuno! Oggi non assistiamo al declino del sistema moda, assistiamo alla resa dell’egoismo umano, in tutto. Di più nella moda, poiché questa era la vetrina sfarzosa e a tratti bugiarda di una vanità dolorosa.
Dissento totalmente dal suo pensiero in un unico grande punto della sua lettera, quando scrive: “basta con la moda come puro gioco di comunicazione”.

Ad averla resa un “puro gioco di comunicazione” strumentale a fini non sempre leciti, è stato proprio il sistema, con tutti gli attori coinvolti. La moda dev’essere comunicazione, anzi è comunicazione! È pura comunicazione! Ben venga il gioco di comunicazione se fatto nel rispetto di tutti e di tutto!
Non avrebbe interessato a molti per moltissimo tempo strumentalizzarla se non fosse un ragionato incantesimo della nostra società. Un sistema di comunicazione senza precedenti e che dura da moltissimo tempo, tanto quanto l’uomo. Considerare la moda senza la comunicazione significa non parlare di moda. Fate attenzione a ciò che fa male davvero del sistema moda, non prendete sempre come “oro colato” le briciole di speranza dette dagli attori di una sfera d’elité. Attento, re Giorgio, il mio vuol essere un consiglio: ci sono ben altre cose da rivedere nel sistema moda, molto più dannose e pericolose della sua stessa comunicazione. 

Se banalizziamo la comunicazione affiancata alla moda, che senso ha quello che anche Giorgio Armani sta dichiarando in questi tempi? Che senso avranno le collezioni? Il design degli abiti? Quale l’importanza di un marchio?

Ricordiamoci sempre che la moda è la costruzione comunicativa più bella e non può non comunicarsi, sta a noi utilizzarla nel modo più trasparente ed etico possibile. Il più delle volte è semplice puntare il dito, soprattutto agli effetti e ai risultati finali, ma è molto più difficile adoperarsi per cambiare davvero. Non è mai la cosa a far male ma i modi in cui questa viene usata. Di chi è quindi la responsabilità più grande? Delle persone, prima e davanti a tutto. 
Parlando di moda e comunicazione, un esempio entusiasmante, per gli appassionati di settore e gli “addetti ai lavori” è stata la scelta comunicativa di una delle riviste più conosciute nel panorama del fashion system: Vogue Italia. 

Vogue ha realizzato in questi giorni la più alta forma di comunicazione che la moda, in tempo di crisi ed emergenza, potesse mai realizzare. Vogue Italia si presenta in edicola per la prima volta con la copertina completamente bianca. 

Appena l’ho vista ho pensato a Bruno Munari, a “Cappuccetto Bianco”, ve lo ricordate? In Vogue, come in “Cappuccetto Bianco”, non si vede nulla se non il bianco candido. Se nel secondo, l’idea di cappuccetto che vaga nella neve è tanto reale quanto simbolica; nel primo, la moda esplode e la scelta del bianco candido è un diritto della rivista e un dovere verso il momento storico che stiamo vivendo.
In un certo modo anche Vogue ha voluto liberare la fantasia dei suoi lettori, affiancando ad una copertina senza visual e con headline appena percepibile, la gratuità del numero facilmente scaricabile online.

Il direttore di Vogue, Emanuele Farneti, spiega la scelta stilistica dicendo: “è un segno di rispetto, una pagina tutta da scrivere, con fantasia e immaginazione. É un omaggio al colore dei camici di medici e infermieri che ci hanno salvato la vita”. Non a caso, il titolo dell’operazione e hashtag dell’iniziativa è #imagine: un invito alla fantasia e alla speranza in un momento così difficile. Alla realizzazione del volume hanno partecipato molti nomi noti della moda e della fotografia, come contributo alla moda e alle persone, in questo tempo di crisi.

Vogue è un giornale che vanta una sua storia ultracentenaria: ha attraversato guerre, crisi e veri e propri atti di terrorismo. E, come abbiamo potuto notare tutti, non si è mai arreso. Non si è mai voltato dall’altra parte. Ha sempre continuato a parlare di moda con i ritmi e i tempi imposti dalle situazioni. Più di quaranta artisti, da tutto il mondo, nel pieno del lockdown globale, si sono messi a disposizione per realizzare degli scatti “home made” e pubblicare così la prima forma fotografica che un giornale di moda pubblica del mondo nuovo. Queste le parole incisive e quanto più lungimiranti di Emanuele Farneti, nell’editoriale Vogue Italia!

Siamo ancora possibilisti nel parlare di moda e comunicazione come due ambiti distinti?

Rispondiamo a questa domanda, anche solo considerando il grande e autentico significato del bianco che campeggia in copertina. Un colore, dentro la moda, grazie alla comunicazione, per rappresentare tanto, tutto! Ecco che “l’arte da indossare” torna a parlare della società, proprio come la società della moda, anche in tempi di pandemia. Vouge torna ad essere una comunicazione che urla il sentimento del momento e lo fa spogliandosi. Togliendo il soggetto del suo dire, togliendo la moda.
Perché questa esigenza grafica? Perché la moda è la società che comunica e non può essere altrimenti.