Siamo nel pieno della #FashionRevolutionWeek ed è impossibile non accorgersene! Nel web e nei social network tante sono le iniziative, soprattutto quest’anno, che coinvolgono professionisti e appassionati del mondo della moda. Scopriamo insieme, nelle righe che seguono, come nasce e perché questo movimento e questa settimana dedicata al cambiamento.

Fashion Revolution è un movimento di persone che comprende professionisti e fashionisti di ogni ambito e grado che credono in un’industria della moda che valorizzi le persone, l’ambiente, la creatività e il profitto in egual misura e operano perché questa nuova concezione sia possibile. Hanno realizzato e continuano tutt’oggi a realizzare moltissime campagne pubblicitarie per acculturare il consumatore e gli utenti della rete. Non solo, propongono seminari e webinar dedicati anche agli imprenditori della moda, per spiegare loro che un vero cambiamento è possibile.

Alcuni esempi di campagne social meglio riuscite: la social adv per il Black Friday basata sulla condivisione di pictures da loro create, esplicative del consumismo di acquisti e sprechi, nonché inquinamento, nel giorno del venerdì dei saldi; da qualche anno più sentito anche qui in Italia. Per quell’azione pubblicitaria, tutto il materiale era facilmente condivisibile nei social e volutamente provocatorio, al fine di sviluppare una nuova coscienza di consumo nel consumatore.

Un altro esempio di social adv molto bella e ormai conosciuta, poiché sfruttata dal movimento ogni anno in occasione di questa settimana e non solo, è “Who Made My Clothes?”, un tormentone della rete che spinge l’utente a porsi delle domande essenziali quando acquista e ancor prima quando desidera un capo, un brand o simile.

Quest’anno la domanda cruciale non è solo “Chi crea i miei vestiti?” ma anche “Cosa contengono i miei abiti?”.

Da campagna sociale a “esame di coscienza” per il consumatore, il passo è molto breve e i confini sono, direi volutamente, labili. La necessità di creare una coscienza di acquisto e una consapevolezza di settore nel consumatore, sono alla base delle azioni del movimento, in particolare di quelle destinate alla settimana della rivoluzione.

Fashion Revolution nasce, infatti, a seguito del crollo del Rana Plaza, della tragedia a Dacca, dove sono morte moltissime persone per colpa di una schiavitù della moda, ancora molto nascosta e spesso sconosciuta. Generalmente, molti marchi più o meno noti del Fast Fashion e dei Luxury Brand, producono i capi di abbagliamento in appalto ai paesi meno sviluppati e ricchi, in modo da sfruttare la manodopera a basso costo.

In questi paesi si formano vere e proprie catene di montaggio, dove persone come noi, non sono tutelate nel lavoro e vengono portare allo stremo delle forze con turni massacranti e condizioni di lavoro disumane. Vengono costretti e convinti per necessità e molto spesso anche ricattati. I grandi capannoni in cui lavorano, e in cui la maggior parte vive, vengono modificati per ottenere più spazio e controllo sugli operai, ovviamente senza considerare la sicurezza. Molti piani e infinite postazioni caratterizzano gli edifici, privati molto spesso anche delle colonne portanti al fine di controllare più da vicino il lavoro senza sosta di queste persone. Così, capitano incendi, crolli, infortuni e le persone muoiono o rimangono gravemente ferite, e neanche allora sono qualcuno. Ci si dimentica di loro, che per pochi centesimi offrono la vita ad un lavoro disumano.

Non solo le condizioni di lavoro minano la salute e la vita di queste persone, ma anche le sostanze che utilizzano nei tessuti, che poi noi indossiamo. Stoffe, coloranti, cuciture, tutto e di più, rappresenta un rischio per la loro e la nostra salute.

E oggi, con la situazione del Coronavirus? Chi pensa a loro? Quanto vale una vita? Cosa l’uomo è disposto a fare per il “sistema”?

La moda è un settore esempio ma potremmo estendere queste domande a vari ambiti, purtroppo. Pensare che acquistando un capo, ai famosi 9,90euro pensiamo di aver fatto fortuna! In realtà acquistiamo la sofferenza di altri, il guadagno di pochi avidi, il pericolo nostro nell’indossare un capo che può realmente farci male e soprattutto abbiamo acquistato tanta, troppa povertà, in tutti i sensi. Ogni cosa, soprattutto se artigianale, ha un costo, quando il costo non è reale, è proprio lì che dobbiamo chiederci chi sta pagando per noi e quanto pagheremo poi in altri contesti (salute, capitale, umanità e molto altro…).

La settimana della Fashion Revolution Week comprime tutti questi concetti e li distribuisce giorno dopo giorno nella rete, cercando di dare informazioni sempre più precise e trasparenti riguardo il settore moda.  L’obiettivo principe è il cambiamento del sistema e la valorizzazione della vera moda, affinchè situazioni come quella del 2013 non si ripetano più.

L’anniversario di questo tragico evento viene ricordato ogni anno il 24 Aprile, oggi sono proprio 7 anni dall’accaduto. Tanto è stato fatto, troppo c’è ancora da comunicare e fare!  Le attività comunicative quest’anno sono state davvero interessanti e sono sicura che ancora ne vedremo fino al 26 aprile. Data la situazione che ha costretto il movimento ad annullare tutti gli incontri pubblici, i rivoluzionari si sono attivati creando valide alternative nella rete, volte a dar vita ad un vero e proprio evento digitale e stimolandoci tutti a diventare “digital activist” del movimento. Una comunicazione che ha dell’invertising e che sfrutta a pieno le nuove logiche di digital strategy per portare cultura e conoscenza alle persone, affinchè la moda torni a splendere, oggi più che mai, nel rispetto di tutto e di tutti.

Nelle prime giornate è stata proposta la “Love Story Guide”, una brochure dove hanno spiegato il movimento e la nascita dalla settimana delle rivoluzione nella moda, proponendo all’utente di raccontare la propria storia d’amore con il capo di abbigliamento preferito e condividerla nella rete. I giorni seguenti sono stati pubblicati dati importanti e report sui cambiamenti del settore fashion intrapresi e da sviluppare più concretamente in futuro. Non sono mancate nemmeno le infografiche, più o meno esaustive, della situazione attuale.

L’azione predominante nella loro comunicazione è la condivisione, base e nucleo della rivoluzione.
In particolare, molto bella la proposta creativa di Marina Spadafora, coordinatrice di Fashion Revolution Italia, che ha postato le modalità di partecipazione al suo zoom webinar di domani creando il vero plus della campagna pubblicitaria di quest’anno. Le domande rimangono le stesse ma quest’anno la foto dev’essere fatta con la t-shirt al contrario, indicando l’etichetta e taggando il brand, al fine di chiedere più trasparenza alle aziende e alle marche.

Instragam, il social della moda per eccellenza, si è riempito e ancora di sta caricando di selfie da tutte le parti del mondo. La prevalenza di un feedback femminile fa riflettere. Oltremodo significativa e quanto più simbolica, la foto postata dal movimento che ritrae fotografi, appassionati e pubblico in generale mentre osserva una sfilata, ma al posto di guardare sfilare in passerella abiti, modelle e stilisti, assistono alla creazione dei capi così come realmente sono stati creati: donne e uomini sfruttati, chinati tutto il giorno a colorare, lavare e rifinire le creazioni senza tutele, orari, sicurezza e soprattutto senza umanità!

La comunicazione di Fashion Revolution usa i colori della moda e la stessa eleganza per trasmettere alle persone la necessità di un nuovo modo di vivere questo settore. Se il tono di voce è perfettamente coerente con gli obiettivi, il feedback che ne deriva non è da meno. L’uso di una “grafica pura” e la scelta di sfondi sfumati, dove il colore giallo si mescola agli altri toni sono caratterizzanti lo spirito dell’iniziativa. Il Giallo poi, crea una connotazione di speranza. La griglia di Instagram non è definita ma non è necessario poiché la loro coerenza nel tono di voce trasmette affidabilità e i loro contenuti irrompono, oltre l’immagine, per esplodere nei valori e nelle azioni.

… abbiamo ancora tanto da osservare di questa settimana della rivoluzione e tanto ancora da fare.
Buona rivoluzione a tutti!