– In questi giorni di isolamento, una delle risorse che accomuna e unisce le persone è la musica. Da quelle cantate sui balconi a quelle intonate in corsia, le canzoni sembrano alleviare e colorare la quotidianità di ognuno di noi. 

Siamo in collegamento col professor Marchioro, docente IUSVE, psicologo e  psicoterapeuta.

Professor Marchioro, possiamo affermare che una moltitudine di persone stanno vivendo una routine più stressante del solito a causa di questa realtà totalmente nuova. Pensa che la musica possa effettivamente aiutare a ritrovare un equilibrio? Ed in che modo?

DM: Allora, in parte sì, anzi assolutamente sì; la musica ha il potere quasi di unire le persone: una sorta di attivatore dei comportamenti, di reagente della socializzazione. Lo abbiamo visto lo scorso autunno nelle proteste per strada in Cile, in Libano, in Catalogna, Hong Kong, Haiti… E insomma, in paesi in cui la musica ha colorato situazioni non felici, ecco. Lo abbiamo osservato recentemente come La musica è stata un atto liberatorio contro l’isolamento sociale, a cui milioni di paesi di persone in tutto il mondo hanno partecipato cantando dai balconi, intonando motivetti per fronteggiare la diffusione del nuovo Coronavirus. Di fatto, la musica è terapeutica e questo la ricerca lo ha dimostrato ampiamente: numerose ricerche hanno messo in evidenza quelli che sono gli aspetti positivi legati al mondo della musica, sia l’ascoltare che il fare musica – perché poi bisogna anche distinguere tra fare musica e ascoltare musica – però diciamo sia chi ascolta che chi fa musica ottiene come beneficio una stimolazione del sistema immunitario, con la conseguente riduzione per esempio dell’ansia o dello stress; quindi, se si può anche dire per trovare quell’equilibrio ‘’ascolto un po’ di musica’’, lo si può dire. Pensi che cantare in gruppo per un’oretta riduce quelli che sono i livelli del cortisolo che è nel nostro organismo; il cortisolo tanto per capirci è l’ormone dello stress. Poi un’altra ricerca recentissima, una ricerca canadese, ha dimostrato che la musica è strutturalmente associata alle principali funzioni neuronali, che sono deputate proprio alla sopravvivenza individuale e della specie; quali sono queste funzioni? Sono quelle funzioni legate alla nutrizione e alla sessualità, cioè come dire che una melodia può attivare i sistemi primordiali di gratificazione al pari del cibo o del sesso, tanto per capirci. Quindi si, la musica è terapeutica, la musica aiuta. Certo, non è diciamo la soluzione di tutti i mali ma può essere consolatorio, soprattutto in un momento come questo. 

Chi ascolta ma anche chi fa musica. 

– Pensa che chi pubblica nuovi brani in questo periodo è chiamato a rispettare una maggior sensibilità? Quali sono le opportunità ma soprattutto i limiti che possiamo individuare?

DM: Allora beh, le opportunità sono tantissime; la musica sappiamo che è una delle più antiche forme di arte, forse la più antica. Il flauto più vecchio che è stato trovato, un flauto d’osso, ha quasi 40000 anni; quindi sì, la musica è tutt’altro che un’arte recente ed è anche un formidabile antidoto, come le dicevo prima, per guerre, ingiustizie, repressioni, nei momenti di crisi; motivetti che vengono intonati come “Bella Ciao” richiamano proprio questi momenti e chi li ha intonati, certo: sono stati creati da qualcuno in momenti come questi. 

Dal mio punto di vista io posso dire: chiara l’importanza di chi fa musica, di chi la compone tanto per capirci… Ma la musica è un gesto creativo; nella creazione, dal mio punto di vista, la spontaneità è un ingrediente indispensabile, senza la spontaneità viene meno la magia della creazione stessa. Dal mio punto di vista, sono maggiormente sensibili le persone che fanno musica ma non tutti la pensano allo stesso modo: cioè ci sono alcuni compositori che ritengono sia inopportuno fare musica in un momento come questo e addirittura ascoltare. C’è un’intervista di Ennio Morricone sul Fatto Quotidiano che la pensa esattamente così, cioè pensa che non sia assolutamente opportuno fare musica o comporla. Ci sono altri autori, compositori e cantanti che invece stanno dando veramente il meglio di sè (Michael Stipe). Per cui voglio dire, c’è chi la pensa in un modo e chi la pensa in un altro modo. Dal mio punto di vista, la musica è un gesto spontaneo per cui non richiama doveri o responsabilità; Certo, la sensibilità c’è da parte di tutti, per cui chi fa musica deve prima sentirlo dentro di sé, in questo senso.

– Come si diventa musicoterapeuta? È possibile essere seguiti da esperti anche a distanza in questa situazione particolare?

DM: Allora, come si diventa musicoterapeuta…  Intanto in Italia la figura del musicoterapeuta è una figura di un professionista che è laureato o in Medicina o in Psicologia e poi ha una specializzazione post-lauream in musicoterapia, chiaramente. Esistono due figure e qui vale la pena fare un’importantissima distinzione tra la figura del musicoterapeuta e il musicoterapista: il musicoterapeuta fa diagnosi e predispone il piano d’intervento, il musicoterapista è l’esecutore e può essere anche un musicista con una formazione anche musicale. 

La musicoterapia può essere certamente fatta a distanza con tutti quelli che sono i limiti di una terapia, in questo caso la musicoterapia, che viene fatta a distanza. Sappiamo che ci sono 2 tipi di musicoterapia: c’è la musicoterapia ricettiva, un po’ più passiva, che si basa sull’ascolto di musica che è stata registrata, che è scelta o dal paziente o dal musicoterapeuta e c’è uno musicoterapia di tipo attivo che si basa sull’esecuzione, viene creata dal paziente, cioè il paziente crea una sorta di linguaggio – sappiamo che il linguaggio della musica non è denotativo, è diverso dal linguaggio con cui mi sto esprimendo adesso, che però non è meno potente insomma, non è meno importante – e quindi il paziente crea la propria musica attraverso strumenti che possono essere strumenti musicali, tamburellando insomma sul tavolo perché si può fare musica non solo con la voce ma con qualsiasi cosa.

Quindi sì, certo, la musicoterapia a distanza può essere svolta. Io penso che i colleghi musicoterapeuti la penseranno come me insomma, su questo ci sarà qualcuno che è più propenso a farla e chi meno è propenso a farla, esattamente come faccio io insomma, c’è qualcuno che si è adattato e qualcuno che preferisce insomma non adattarsi.   

– Lei afferma che ha svolto sessioni di terapia a distanza con i suoi pazienti. Quali sono stati i feedback? Ci racconti un po’ la sua esperienza.  

DM: Allora i feedback che ho avuto sono stati in parte positivi e in parte negativi. Chiaramente la situazione cambia, nel senso che io ho continuato, non ho iniziato nuove terapie a distanza, perché iniziare nuove terapia distanza presuppone una forma mentis un po’ diversa; nel senso che bisogna già essere avere una sorta di logica di lavoro a distanza con un paziente, cosa che io non ho. Mi sono adattato esattamente come tanti miei colleghi. Il limite è proprio questo, l’adattamento richiede un po’ di tempo, quindi il tempo, un po’ di collaudo iniziale e chiaramente non è la stessa cosa, un conto è essere in presenza con un paziente, con una persona quindi l’aspetto relazionale viene in qualche modo penalizzato dal mio punto di vista. Tra l’altro per noi psicoterapeuti il setting è fondamentale, il setting è un rito, quindi il rituale viene sostituito dal virtuale e questo è un po’ un aspetto che impoverisce la bellezza della psicoterapia, almeno sempre dal mio punto di vista.

Con con dei colleghi con cui si sentono tra l’altro quotidianamente per confrontarmi, alcuni colleghi la vedono come me, altri addirittura hanno evitato come la peste qualsiasi forma compensativa di video terapia a distanza…  Quindi i motivi sono quelli che le accennavo prima, non tutti sono disposti a rinunciare all’aspetto rituale che per noi è fondamentale. Ecco quindi questo è quello che le posso dire, ci sono aspetti positivi e aspetti negativi, come tutte le cose. Quello che le posso dire però, senza troppi peli sulla lingua, è che finita l’emergenza io ritornerò al rito perché per me è indispensabile; quindi abbandonerò questo strumento, per quanto utile e  importante sia stato in questo momento.

– Ringraziamo il professor Marchioro per il prezioso intervento. Noi di Cube Radio ci auguriamo che il benessere psicofisico delle persone possa essere ristabilito il prima possibile e che ognuno di noi riesca a trovare il modo più efficace e adatto a sé per farlo. 

Da Agata Borracci è tutto, Cube Radio News, Venezia.