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Irama, dopo tre anni dal Plume Tour, è tornato dal vivo con un programma che lo sta tenendo impegnato per tutta l’estate, da luglio a settembre. Durante il mese di aprile il cantante ha tenuto quattro concerti a Mantova, Roma, Napoli e Milano.
Un’estate intensa, dunque, quella del cantante reduce da due partecipazioni consecutive al Festival di Sanremo. Irama, infatti, nel 2022 è tornato sul palco di Sanremo dopo aver partecipato all’edizione precedente, a distanza, a causa di un contatto con un membro del suo staff, risultato positivo al Covid-19.

Le tracce previste dalla scaletta dei concerti in programma sono tratte dal suo ultimo album, Il giorno in cui ho smesso di pensare e non solo, lo stesso che contiene anche Ovunque sarai, il singolo con cui ha gareggiato all’ultima kermesse musicale.

Ovunque sarai, è una ballata orchestrale. Giocando con la graffiante potenza della sua voce, Filippo Maria Fanti, in arte Irama, ci trasporta in un universo emozionale del tutto dedicato ad una persona che non c’è più, che aspetterà «per sempre» e che ricercherà «in ogni gesto».

A questo proposito, abbiamo avuto l’opportunità di intervistarlo: ecco cosa ci ha detto.

Irama, nella tua canzone compaiono un legame e una circolarità tra terra e cielo: potrebbe trattarsi di un ciclo continuo che non finisce mai?

«Beh sì, siamo legati alla natura da sempre, dai, alla fine da lì partiamo e lì finiamo, è la normalità dell’essere. Quindi il legame con la natura c’è chi finge di non avercelo, però è un po’ come nascondersi da noi stessi. L’uomo è legato alla natura: è inevitabile, se non lo fosse sarebbe soltanto una grande buffonata».

Anche dal videoclip, emerge una certa attenzione alla resa dell’emozionalità resa più intensa e drammatica dall’utilizzo del bianco e nero. Questa scelta di assenza di colore come rappresenta il significato spirituale che hai dato al tuo brano?

«Il colore, per quanto riguarda il video, […] è legato principalmente a un racconto che c’è dietro e anche a un’importanza, secondo me, del video, cioè, mi piaceva il concetto comunque di dargli un certo peso a livello cinematico che fosse differente dagli altri. Invece, per quanto riguarda il colore nella canzone, i colori fortunatamente si possono vedere, si possono sentire, si possono percepire anche durante l’ascolto. Se dovessi pensare a un colore che lega questa canzone penserei al bianco perché penserei a un bianco forse sporco, qualcosa di sporcato, ma allo stesso tempo di puro, come se avessi contaminato una spiritualità in sostanza e la comunicazione con una persona che non c’è più».

Da Claudia Gallinaro, per Cube Radio Venezia, è tutto.