Ciao a tutti e benvenuti ad una nuova puntata di ModaPuntoCom. Oggi introduciamo un argomento nuovo: psicologia e moda, con la docente e professoressa, Luisa Perotti, che insegna psicologia della comunicazione allo IUSVE. Abbiamo chiesto a lei di parlarci del rapporto tra immagine e moda soprattutto nell’ambito della rappresentazione del sé e della psicologia. Come la moda può essere fonte positiva o negativa di rappresentazione? Come forme e colori parlano della nostra personalità? Queste e molte altre le domande che le abbiamo posto.

Per dirla con uno slogan “Dimmi cosa indossi e ti dirò chi sei”. “Tu sai quello che indossi” non è solo un mantra ma anche il titolo di un libro scritto dalla psicologa statunitense Jennifer Baumater proprio sulla psicologia della moda. Questo è un buon punto di partenza per la nostra riflessione di oggi, soprattutto rispetto al porsi delle domande che la psicologa ci invita a rivolgerci per fare l’analisi dell’armadio.

Vi capita mai di indossare sempre i soliti capi di abbigliamento oppure al contrario di avere un armadio pieno di vestiti che non indossate mai? Alcune ricerche tra cui cito, a titolo di esempio, quella della Yale School of Management datata 2015, dimostrano come vestirsi in maniera professionale aumenti il livello di sicurezza, di concentrazione e di performance. Questo perché? Perché, una volta indossato un determinato capo d’abbigliamento, ognuno di noi tende ad adottarne le caratteristiche. Ne sono una dimostrazione casi di successo, da questo punto di vista, come Mark Zuckerberg e il presidente Trump.

Tra persone e abbigliamento c’è, quindi, una forma di sinergia perché lo stile di abbigliamento è uno strumento con cui ognuno di noi comunica la propria identità, la propria differenziazione da un’altra persona e anche i valori e la propria cultura di riferimento. L’abbigliamento secondo la classificazione di Cook è un elemento dinamico cioè dipende dal controllo volontario di ognuno di noi e quindi può essere parzialmente modificabile. Al contrario Arghile definisce questa componente come il canale principale per dare informazioni su di sé, sul proprio status e sul proprio livello di ricchezza. Goffman, ad esempio, insegna come l’abbigliamento possa essere classificato come canale principale della manipolazione del sé perché controllando il proprio modo di vestire, il proprio abbigliamento la persona cerca di comunicare un’immagine di sé diversa da quella che, in realtà, la caratterizza.

L’abbigliamento rientra, inoltre, insieme alla conformazione fisica, nell’aspetto fisico quindi collabora a livello di comunicazione non verbale, rientra in quei processi percettivi di influenzamento sociale e di costruzione della prima impressione seguendo la regola empirica del 4 per 10 cioè nei primi 10 secondi circa. Quindi come il corpo attraverso i gesti, il movimento, il sorriso esprime la propria interiorità, così l’abito con la sua forma e anche la sua fattezza è in grado di esprimere molto della persona che si è, di quello che si vuole apparire sia in modo consapevole che inconsapevole. Di fatto il modo proprio di vestire di ognuno di noi diventa un vero e proprio tipo di linguaggio.

È difficile, ad esempio, che una personalità estroversa ed euforica indossi un abito scuro con una cravatta nera, piuttosto e più probabile che utilizzi abiti casual anche costosi, comunque di classe oppure in alternativa un look originale con dei gioielli e degli accessori molto vistosi mischiandoli magari insieme, ma assolutamente non in modo casuale. Viceversa, al contrario una personalità introversa è più probabile che indossi un abbigliamento comodo e informale, con i colori della terra, quindi con le sfumature del verde e del marrone e del beige e del bourdeaux oppure in alternativa un abbigliamento classico, molto classico ma non appariscente, senza colori e fantasie particolarmente sgargianti, evidenti e quindi di nuovo indossando tinte unite come possono essere il beige, il nero, il bianco, il blu e il color crema.

Lo stile di abbigliamento che scegliamo rispecchia il nostro modo di pensare e il nostro modo di vivere come d’altronde le nostre parole e i comportamenti che adottiamo. Ecco perché scegliere con cura il proprio stile esteriore, a favore oppure no delle tendenze del momento, è il mezzo che ognuno di noi ha, più concreto, per esprimere sé stesso. L’outfit diventa un modo concreto per mostrare al mondo quello che siamo dentro e quello in cui crediamo.

Mai come oggi le tendenze sono pervasive e socialmente aggiornate, quindi trovare una propria identità ed esprimere il proprio stile personale è difficile. Tornando alle domande che ci siamo rivolte prima, su stimolo della psicologa, come tradurre i propri valori in uno stile? Pensiamo a quello che amiamo per definire: come possiamo e come vogliamo vestirci. Tutto ciò che fa parte di noi ci caratterizza anche da fuori, brand a parte, il nostro armadio parla di noi. Conta avere uno stile personale e lasciamo trasparire la nostra personalità ricordando quello che amiamo perché il rischio è di apparire quello che non siamo.

Le fashion victim non sono nient’altro che un copia-incolla di identità diverse mischiate tra di loro senza criterio dove non si afferma la personalità e dove non c’è carisma. Possiamo usare il look a nostro vantaggio modellando l’immagine che diamo di noi in base a quello che desideriamo ottenere, l’obiettivo che vogliamo raggiungere. Ad esempio quale abbigliamento, oggi, potrebbe rendermi e farmi sentire più professionale? L’umore influenza il look? Posso usare il potere emozionale che l’abbigliamento ha per influenzare il mio pensiero, quindi vestire di rosso, ad esempio, mi energizza. Avere uno stile personale, il proprio stile, genera benessere e quindi va ricordato che ognuno di noi è diverso e non c’è niente di più prezioso della bellezza che sta nell’unicità.