Siamo nel 1945 quando, durante i processi di Norimberga, i più importanti esponenti del nazismo venivano processati dalle forze alleate per quello che Winston Churchill aveva definito un “crimine senza nome”: il genocidio.
La distruzione deliberata di un gruppo di persone assieme ai crimini contro l’umanità, di guerra e di aggressione sono oggi riconosciuti come crimini contro la pace dallo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.

Nell’ultimo decennio un movimento si è distinto affinché venga riconosciuto un quinto crimine perseguibile dalla Corte dell’Aja: l’ecocidio, ovvero “la distruzione, il danneggiamento o la perdita su vasta scala di uno o più ecosistemi in un determinato territorio”.
La parola non è nuova. Il suo primo utilizzo risale infatti al 1972, quando il Primo ministro svedese Olof Palme aveva accusato il governo statunitense di ecocidio durante la Guerra del Vietnam per l’uso dell’agente arancio, un defoliante in grado di far appassire i raccolti e che in seguito ha reso sterile una vasta porzione del territorio. Nel 2010, è stata Polly Higgins, avvocato e attivista, a portare avanti la campagna per includere l’ecocidio tra i crimini internazionali, prima rivolgendosi alle Nazioni Unite, e poi alla Corte Penale Internazionale, la quale ha deciso di prendere in esame casi di distruzione ambientale.

La Corte dell’Aja ha finora considerato crimini che violassero diritti degli esseri umani, e così anche la proposta avanzata di far rientrare i danni ambientali nel diritto penale è antropocentrica, proprio perché ecosistemi e benefici che le persone traggono sono estremamente connessi. Secondo però altri punti di vista, la protezione ambientale dovrebbe richiedere giustizia fine a se stessa e non perché danneggerebbe gli esseri umani nel lungo periodo.
Ma che cosa cambierebbe davvero se l’ecocidio rientrasse tra i crimini internazionali? Se l’emendamento fosse proposto e poi approvato da almeno due terzi dei Paesi firmatari dello Statuto di Roma, le società citate in giudizio non sarebbero solo più passibili di multa, ma perseguibili penalmente, fino al caso più grave dell’arresto.

Il problema attuale è che alcune tra le potenze economiche e al contempo più inquinanti al mondo, come Cina, Stati Uniti, Russia, India e Arabia Saudita, non sono tra i firmatari dell’accordo.
In questo contesto, l’Europa si pone come vero e proprio trainante del cambiamento, soprattutto grazie a Emmanuel Macron, papa Francesco, Greta Thunberg e il movimento Stop Ecocide.
Trattati e clausole emesse delle Nazioni Unite in molti casi non hanno fermato genocidi. E sebbene sia difficile delineare i confini che inquadrino i reati ambientali, è chiaro che manchi una legge giuridicamente vincolante a livello internazionale uguale per tutti. Dare quindi un giusto nome ai fatti aiuterà a ristabilire nel tempo l’ordine e il rispetto che il Pianeta Terra merita.