Siamo in compagnia di Virginia Grozio, di “Positive_to_Fashion”, Green Fashion Specialist. Ciao Virginia!

Ciao Francesca!

Benvenuta tra gli spazi di IUSVE Cube radio. Iniziamo a parlare del tuo lavoro, del tuo progetto “Positive_to_Fashion” che definisci un magazine di moda sostenibile. Raccontaci: come nasce e cos’è?

“Positive_to_Fashion” nasce per fornire informazioni, notizie e aggiornamenti dal mondo della moda sostenibile. Nasce dalla mia passione per il giornalismo e per la moda sostenibile. Il mio obiettivo è quello di diffondere un approccio positivo alla moda per permettere che essa sia in armonia col pianeta e con le persone. L’industria dell’abbigliamento, infatti, è la seconda più inquinante a livello globale e i suoi effetti hanno ripercussioni devastanti sul pianeta e sulle persone. Qualcosa deve essere fatto e io voglio far parte di questo cambiamento.

È un buon proposito, dei buoni obiettivi, soprattutto comunicati qui ad un pubblico universitario. Speriamo che siano esempio per tutti. Andiamo un po’ più nel dettaglio, ti proponi come un influencer di moda etica e sostenibile e nel tuo sito c’è proprio un articolo dedicato su come comunicare la moda sostenibile. Spiegaci un po’: fashion blogger ce ne sono tante, però fashion blogger sostenibili è una nicchia che, speriamo, si evolva nel tempo. Come si fa a lavorare in questo settore perseguendo la via della sostenibilità?

Sicuramente essere on-line oggi è fondamentale. Il mondo del digitale accompagna la nostra quotidianità, secondo alcune statistiche noi guarderemo ogni 4 minuti il nostro telefono, quindi per diffondere la moda sostenibile è fondamentale essere on-line per coinvolgere quante più persone possibili. Più consumatori chiederanno prodotti sostenibili e saranno sensibili a queste tematiche, più sarà possibile sostituire il paradigma del fast fashion che lede il pianeta e le persone con i suoi ritmi velocissimi di produzione. Di conseguenza, le aziende dovranno modificare, per forza, la loro offerta producendo prodotti più attenti. Io mi occupo di comunicazione e collaboro con diversi brand sostenibili, curo l’ufficio stampa, la gestione social, l’organizzazione degli eventi, le pubbliche relazioni e il consiglio che mi sento di dare a chi vuole perseguire questa strada è sicuramente quello di specializzarsi e scegliere una nicchia, studiare tanto e avere tanta passione.

Qui siamo nel tempio dello studio e il consiglio è giusto. In concreto però quando arriva un brand da te, che vuole praticamente farsi promuovere e farsi pubblicità attraverso la tua immagine, attraverso il tuo sito, i social o magari vuole che tu scriva un articolo su di lui, la prima cosa che fa un influencer sostenibile è quello di capire realmente se il prodotto che va a promuovere rientra in quello che è la sua etica, i suoi valori, giusto?

Sicuramente sì. Sostenibilità è un termine molto ampio che al suo interno contiene diverse declinazioni. Infatti, un prodotto sostenibile s’intende sia per materiali utilizzati, quindi in questo caso parliamo di Green Fashion, sia di iniziative sociali quindi di una moda etica, ma anche per l’utilizzo di materiale di scarto o di vintage seconda mano. Sostenibilità è veramente un tema ampio. Per gli studenti che ci stanno ascoltando il messaggio e anche: “non dobbiamo avere paura a volte di rinunciare a promuovere un brand che non è coerente con i nostri ideali”. Questo sicuramente perché l’importante è avere una nicchia. La nicchia è importantissima, anche pochi follower, poche persone che seguono ma in linea con i nostri valori. Noi dobbiamo portare avanti un messaggio ed essere coerenti con questo messaggio per diventare proprio un’autorità in tutto quello che facciamo.

Parliamo della Venice Fashion week, che ci lasciamo un po’ alle porte, è stato un evento veramente trascinante dal punto di vista della sostenibilità. So che tu hai partecipato a qualche evento e hai seguito in particolare un brand. Raccontaci la tua esperienza.

La “Venice Fashion Week” di quest’anno si è dedicata proprio al tema della moda sostenibile. C’è stata una giornata dedicata alla moda sostenibile e io ho partecipato con il team di Gabriella Marin che è una stilista sostenibile con 20 anni di esperienza come modellista e ha deciso di mettere queste sue competenze a servizio della sostenibilità con un progetto, “etica-estetica”, ovvero incentrata sulla creazione di capi ecologici per portare la moda sostenibile alla portata di tutti.

Mi avevi accennato prima chiacchierando che Gabriella Marin partecipa anche alla Creativity Week, è corretto?

È arrivata tra le 12 finaliste al Premio Donna dell’anno e così Gabriella potrà dare vita a questo progetto.

Abbiamo parlato di studio, siamo in un Campus universitario, per cui andiamo ad approfondire come la tua formazione nell’ambito della comunicazione e del giornalismo ti ha avvantaggiato o svantaggiato in questo progetto che tu stai portando avanti.

Mi ha aiutato tantissimo e studiare è fondamentale. Tramite la facoltà magistrale di informazione editoria giornalismo che ho conseguito, ho affinato le mie competenze nella scrittura e nella comunicazione. Certo quello che affiancherei a tutto questo è un percorso di Digital Marketing in quanto l’online è fondamentale. Io, appunto, mi sto informando anche in questo senso; non si smette mai d’imparare. Il settore moda così non è un settore chiuso adesso con i social-media. Quando si entra nella comunicazione essendo la moda un macro settore comunicativo pubblico si è comunque abbastanza avvantaggiati. Non scoraggiatevi, anche chi fa comunicazione può lavorare benissimo con brand di moda. Un articolo sul tuo sito cita queste tre parole: emozione, etica, estetica. Come queste tre parole, questi tre contenitori possono coesistere quando si parla di moda sostenibile?

Perché la moda sia più sostenibile è necessario che nel prodotto co-esista l’etica quindi un utilizzo di materiali naturali, rispetto dei diritti dei lavoratori e l’estetica che dev’esserci per creare un prodotto accattivante.

Siamo un popolo dell’immagine. Ricerchiamo la bellezza e molti professori anche della nostra università ci insegnano che la bellezza salverà il mondo.

A tutto questo io ho aggiunto una E per avere un approccio del “meno ma meglio” che è la base del consumo consapevole. Ciò che può aiutarci quando siamo a comprare, oltre a chiederci chi ha fatto questi vestiti e ha davvero bisogno di questo capo, è: questo capo mi dà emozione? Perché noi con i vestiti abbiamo davvero una relazione, infatti, i vestiti dicono molto di no.

Se io compro un capo che mi trasmette un’emozione sarò più appagato, spesso lo shopping compulsivo fa sì che io acquisto per un bisogno ma non mi rendo neanche conto di quello che ho acquistato e non sono appagato. Se i capi che possiedo mi emozionano avrò un benessere sia esteriore, perché mi piacerà come mi stanno, sia interiore. Ho applicato l’approccio della mindfulness ai vestiti cioè una consapevolezza e una presenza quando io acquisto. Questo approccio fa sì che essere sostenibili sia un benessere all’ambiente, alle persone e anche all’interiorità e all’anima.

Pensando a quello che ci stavi dicendo, se io mi affeziono al capo meno facilmente me ne libero e quindi questo nel tempo ha un effetto positivo anche per noi e per l’ambiente. La tua visione sul futuro della moda sostenibile in tre parole?

La grande sfida, perché la moda più sostenibile diventi alla portata di tutti e per tutti. Quello che io spero è che da un fenomeno di nicchia diventi un fenomeno di massa e che si assista ad un processo di democratizzazione della moda sostenibile.

Ciao a tutti, alla prossima.