Come una teoria economica sta salvando la barriera corallina
Negli anni Cinquanta del secolo scorso, Harry Markowitz ha sviluppato una teoria economica rivoluzionaria, che gli è valsa il premio Nobel per l’economia nell’ormai lontano 1990.
Il suo studio matematico si basa nell’incentivare, attraverso delle precise indicazioni, gli investitori più prudenti a investire maggiormente in borsa (ovviamente in investimenti sicuri) per guadagnare molto di più rispetto al consueto. In parole semplici: riduzione dei rischi, guadagno maggiore. Questa ricerca è rivoluzionaria perché lo stesso schema di lavoro è stato utilizzato da alcuni ricercatori dell’università australiana del Queensland, per identificare cinquanta barriere coralline in grado di poter superare i cambiamenti climatici e ripopolare quelle più a rischio distruzione o perimento.
Questi ecosistemi sono divisi in “unità bioclimatiche” di 500 metri quadrati. I parametri utilizzati sono stati 174, raccolti in cinque categorie: andamento termico nel corso del tempo e previsioni, acidificazione degli oceani, specie estranee presenti all’interno della barriera e possibili interazioni con altri ecosistemi. Una volta stilata la classifica, le barriere più in pericolo vengono messe sotto osservazione e si comincia a seguire le istruttorie per salvarle.
Questo progetto è molto importante e decisivo per la lotta al surriscaldamento dei mari e alla conseguente rovina delle barriere coralline. Questi sistemi sono quindi importantissimi per vari motivi: in primis aiutano a proteggere le coste dal movimento persistente delle onde; in secundis le barriere hanno una biodiversità altissima, sono le culle di un quarto della popolazione ittica; infine, senza una barriera corallina, la maggior parte delle città, villaggi e paesi sarebbero condannati alla rovina economica, sociale e sanitaria.
Il problema è veramente in peggioramento, perché dallo stesso studio è risultato che in poco più di un decennio, il 14% delle barriere coralline sono state perse. Le motivazioni sono diverse: inquinamento, surriscaldamento dei mari e diminuzione della biodiversità.
La mobilitazione per questo progetto non è stata indifferente, molte organizzazioni, filantropi e aziende stanno investendo denaro, la somma totale raggiunge pressapoco i 93 milioni di dollari. Si potrebbe pensare che sia una quantità di denaro sufficiente per sostenere, ma non è così perché pur essendo un’iniziativa che riguarda gli ecosistemi dislocati e i vari continenti, molte barriere coralline non sono state considerate, specialmente quelle dei Caraibi, Hawaii e America Centrale.
È lodevole pensare che la consapevolezza stia finalmente aumentando e che ci siano finanziamenti al progetto di protezione di questi ecosistemi, ma non sono sufficienti, perché manca una componente che potrebbe dare una svolta definitiva al problema: la politica, chi il potere ce l’ha, ma non lo sfrutta nel migliore dei modi.